FOTOGRAFARE GLI UCCELLI
CARDELLINO MASCHIO
La teoria
Impostare la fotocamera
Regolazione del bianco
Quasi tutte le nuove fotocamere digitali sono dotate della cosiddetta "regolazione del bianco", una funzione esclusiva del digitale che permette di regolare l’esposizione del colore in funzione della luce dell’ambiente di ripresa. Nel nostro caso, cioè nell’uso all’aperto per le foto agli uccelli, la regolazione del bianco deve essere impostata su "automatico" (a meno che la macchina non lo abbia già impostato come regolazione di base), soluzione questa che darà i migliori risultati nella maggior parte delle riprese.

In molti modelli di fotocamere digitali esiste la possibilità di impostare regolazioni più "fini" del bianco, ad es. per Luce Solare, per Luce Velata, per Ambienti Chiusi, ecc…, tuttavia impostare ogni volta una funzione diversa significherà che prima o poi avremo belle immagini rovinate da un’impostazione del bianco sbagliata (in realtà, coloro che sanno usare al meglio i programmi di fotoritocco delle immagini digitali non avranno molti problemi a correggere questo difetto, ma, in generale, è sempre meglio avere delle immagini già ben esposte).
Impostazione degli ISO
L’impostazione degli ISO, cioè la regolazione della quantità di luce che in pratica andrà a colpire i sensori che formano l’immagine digitale, è analoga all’impostazione degli ISO nelle macchine fotografiche tradizionali a pellicola, quindi poco c’è da aggiungere su questo argomento, a parte il fatto che non è necessario cambiare la pellicola (nel nostro caso la scheda di memoria) in quanto l’impostazione ISO è digitale.

In realtà, nelle digitali esiste anche la funzione di impostazione automatica degli ISO (di solito preimpostata come funzione di "default", cioè di base), che è utile per avere immagini sempre ben esposte quando si è in carenza di luce ambiente; in pratica, il valore degli ISO varia a seconda della quantità di luce ambiente. Tuttavia, questa è un’arma a doppio taglio, poiché, nelle macchine che permettono un’ampia variazione della scala degli ISO (ad esempio da 100 a 400-800 ISO), ci si può trovare in situazioni in cui la macchina imposta automaticamente un’elevata sensibilità ISO, tale da creare un fastidiosissimo "rumore di fondo" nell’immagime finale, cioè la presenza di una più o meno evidente "granulosità" dell’immagine stessa, simile alla grana delle pellicole tradizionali di sensibilità elevata (da 400 ISO in su).

La soluzione è impostare manualmente gli ISO su un determinato valore, avendo così la possibilità di variare la sensibilità a nostro piacimento a seconda della situazione di luce in cui operiamo.

La migliore impostazione è, a mio parere, quella minima permessa dalla macchina stessa che, nella maggior parte dei casi, è di 100 ISO. Quest’impostazione permette di avere abbastanza luce per scattare con sufficienti tempi di posa (quindi immagini ferme e nitide) senza avere alcun problema di rumore di fondo.

Ci sono dei casi, tuttavia, in cui è indispensabile avere foto più ferme e nitide possibile (ad esempio, scarsissima luce ambientale, presenza di specie rare in situazioni con poca luce o piuttosto lontane e che richiedono forti ingrandimenti del cannocchiale, per le quali è necessaria una buona documentazione fotografica, ecc…). In questi casi, ovviamente, è meglio sacrificare la qualità dell’immagine ed avere una foto ferma e sufficientemente nitida dell’animale, impostando quindi manualmente un’elevata sensibilità ISO (200, 400 o 800, se la macchina lo prevede e a seconda della luce ambiente) che permette di usare tempi di posa abbastanza veloci.

In realtà, come vedremo più avanti, la sola impostazione degli ISO molto spesso non è sufficiente per avere tempi di posa così brevi da avere immagini ferme, pertanto bisognerà utilizzare altri sistemi per evitare il mosso.
Il Noise Reduction (NR)
E’ una funzione presente solo in poche fotocamere digitali; la sua attivazione permette di ridurre il rumore di fondo, anche se non lo elimina totalmente. E’ utile, quindi, se riprendiamo con ISO da 200 in su, ma anche se fotografiamo con scarsa luce ambiente, allorquando una certa quantità di rumore di fondo è comunque presente (anche al valore minimo degli ISO) a causa dei lunghi tempi di esposizione.

Lo svantaggio principale dell’attivazione del NR è il lieve incremento del tempo di memorizzazione dell’immagine dopo lo scatto, con conseguente allungamento del periodo di tempo fra uno scatto ed il successivo.

Personalmente tengo sempre attiva questa funzione, poiché un lieve miglioramento della qualità dell’immagine è preferibile, a mio parere, al lievissimo allungamento dei tempi di scatto (consideriamo anche il fatto che nel digiscoping le raffiche motorizzate di immagini non si possono eseguire, a meno che non si disponga di una reflex digitale).
Modalità di esposizione Tempo-Diaframma
Analogamente alle macchine fotografiche a pellicola tradizionale, quasi tutte le fotocamere digitali offono la possibilità di utilizzare l’esposizione Automatica, Manuale, con Priorità ai Tempi e con Priorità ai Diaframmi. Nei modelli meno costosi sono presenti solo quella Automatica e quella Manuale o solo quella Automatica, ma questi modelli non fanno per noi.


In base alla mia esperienza, poiché nel digiscoping siamo sempre più o meno in carenza di luce, la soluzione migliore è utilizzare la fotocamera in Manuale o in Priorità ai Diaframmi; infatti, a causa del diaframma fisso del cannocchiale, noi possiamo agire in pratica solo con la ghiera dei tempi della fotocamera per variare l’esposizione della luce. E’ inutile, infatti, chiudere il diaframma "digitale" (operazione possibile nelle fotocamere digitali) quando già i tempi di posa sono medio-lunghi (elevato rischio, quindi, di mosso). Meglio quindi usare la fotocamera in Manuale impostando il diaframma "digitale" sul valore più aperto e variando solo la scala dei tempi per l’esposizione oppure impostare la fotocamera in Priorità ai Diaframmi e agire, quindi, sempre solo con la scala dei tempi.

Personalmente utilizzo la fotocamera esclusivamente in modalità Manuale, poiché questa soluzione mi dà il controllo totale dell’esposizione della luce; in qualche caso, infatti, poter intervenire subito anche sul diaframma digitale può essere utile. Immaginiamo, ad esempio, una situazione di forte luce solare, con un uccello chiaro molto vicino (ad es. una Garzetta, un Gabbiano o una Sterna): in questo caso ovviamente utilizzeremo il cannocchiale all’ingrandimento minimo e lo zoom della fotocamera digitale al valore minimo, altrimenti l’intera figura dell’animale non entrerebbe nell’immagine. In questo caso può capitare che il valore più breve della scala dei Tempi a nostra disposizione non sia sufficiente a esporre correttamente l’immagine (avremo cioè una foto sovraesposta); ecco che poter agire velocemente sul diaframma della fotocamera, chiudendolo di uno o più valori, ci può dare la corretta esposizione.

Nella foto qui sopra di Gabbianello, infatti, ho utilizzato tempi di posa di 1/2000 e diaframma chiuso a f/8 (valore minimo con il cannocchiale al minimo ingrandimento e senza zoom digitale: 2,8) per avere la corretta esposizione.

L’autofocus
Praticamente tutte le fotocamere compatte digitali operano in autofocus; alcuni modelli di punta offrono anche la possibilità del fuoco manuale ma questa soluzione per motivi pratici è sconsigliabile, poiché la regolazione avviene con pulsanti e non con ghiere.

Quasi tutti i modelli di fotocamere digitali offrono, inoltre, la possibilità di scegliere fra autofocus continuo e messa a fuoco fissa all’infinito. La scelta fra un sistema e l’altro dipende dai gusti personali ma, come vedremo più avanti, a volte è preferibile utilizzare un metodo anziché l’altro.
Il monitor
Nel digiscoping, l’utilizzo del piccolo monitor LCD è l’unico sistema per avere il controllo completo di inquadratura e messa a fuoco, poiché permette la visione diretta di quello che stiamo inquadrando col cannocchiale. Inoltre, in molti modelli di fotocamere compatte, esso è orientabile, cosa a mio parere essenziale nel digiscoping e prioritaria nella scelta della fotocamera da acquistare.

Al contrario, il piccolo mirino ottico presente in quasi tutte le compatte digitali (tra l’altro non orientabile) non è di alcuna utilità nel digiscoping.

Il monitor LCD ha, però, due grossi svantaggi, il principale dei quali è l’enorme consumo di energia elettrica; il suo uso continuo in ripresa, infatti, provoca il rapido esaurimento delle pile dopo poche ore. E’ utile, quindi, avere sempre dietro le pile di ricambio, anche se così i costi di mantenimento lievitano sensibilmente. La soluzione migliore, se la fotocamera lo permette, è l’utilizzo di pile ricaricabili, piuttosto costose ma più pratiche; quasi sempre ne è fornita una con la fotocamera all’acquisto.

L’altro svantaggio del monitor è che, in condizioni di luce diurna intensa, specialmente se il sole è alle nostre spalle, si ha una netta difficoltà a leggere l’immagine. In parte possiamo ovviare a questo inconveniente cercando di orientare al meglio il monitor e di schermarlo con una mano, ma il risultato è comunque sempre insoddisfacente. In commercio esistono comunque degli ottimi dispositivi autoadesivi che schermano il monitor ai quattro lati, pratici e di valido aiuto; addirittura, alcuni modelli permettono anche un piccolo ingrandimento dell’immagine del monitor, facilitando così la focheggiatura.
Il formato immagine: quale utilizzare?
Questo argomento della fotografia digitale inizialmente può sembrare piuttosto ostico ai principianti ma, in realtà, è meno complicato di quanto non sembri.

Il "formato" immagine o "formato file" altro non è che un metodo di archiviazione dei dati digitali. Essi si riconoscono per la sigla finale (detta "estensione") dopo il nome del file immagine; i più noti sono senza dubbio i formati JPEG, TIFF, BMP, PSD, GIF e PDF, ma ne esistono svariati altri.

Prima di farci prendere dal panico c’è da dire, comunque, che solo due di questi sono utilizzati nella fotografia digitale, e cioè il formato JPEG e quello TIFF. Conoscere le differenze fra questi due formati file è molto importante ai fini della qualità dell’immagine digitale stessa e dello spazio che essa occuperà nella scheda di memoria della fotocamera.

Il formato JPEG è quello utilizzato dalla maggior parte delle fotocamere digitali per archiviare le immagini nella scheda di memoria. Il suo vantaggio è che si tratta di una formato file "di compressione", adatto cioè a salvare molti dati digitali in poco spazio, con la prerogativa di poter variare il grado di compressione stesso. In altre parole, la nostra fotocamera ci permette di scegliere quanta compressione possiamo applicare alle fotografie che scattiamo, in modo tale da potere archiviare quante più immagini è possibile nella scheda di memoria. Il rovescio della medaglia è che tanto più comprimiamo i files, tanto più la qualità dell’immagine decade.

La cosa migliore è, a mio parere, impostare la fotocamera alla minima compressione possibile (leggere il libretto delle istruzioni su come farlo), anche se questo vorrà dire poter scattare un numero ridotto di fotografie.

Per fare un esempio pratico, con una fotocamera da 3 megapixel dotata di scheda di memoria da 128 Mb si possono scattare al massimo un’ottantina di immagini col formato JPEG alla minima compressione possibile (formato cosiddetto "fine"); all’aumentare della compressione del formato JPEG ("fine" --> "normal" --> "basic") aumenta il numero delle immagini che è possibile archiviare nella scheda di memoria (si può anche arrivare a diverse centinaia di immagini, a seconda del grado di compressione e della capacità della scheda di memoria), ma con un evidente calo della qualità immagine (perdita di dati digitali).

Molte fotocamere dell’ultima generazione permettono l’archiviazione anche nel formato TIFF; questo formato, al contrario di quello JPEG, non è un formato di compressione, pertanto non vi è alcuna perdita di dati digitali (e quindi di qualità dell’immagine). Lo svantaggio, di conseguenza, è che le immagini scattate occuperanno molto più spazio nella scheda di memoria, pertanto il numero di scatti che potremo immagazzinare sarà ancora inferiore. Tornando all’esempio precedente, se con il formato JPEG alla minima compressione potevamo immagazzinare circa ottanta immagini (3 megapixel e scheda da 128 Mb), col formato TIFF non ne potremo immagazzinare più di 18!

Qual è quindi il vantaggio del formato TIFF? Solamente l’assenza di perdita di dati digitali, cosa utile nella fotografia professionale. Tuttavia, poiché la perdita di dati nel formato JPEG alla minima compressione è così piccolo da risultare quasi inesistente (comunque non visibile all’occhio umano), a mio parere la cosa migliore nel digiscoping è quella di fotografare utilizzando appunto il formato JPEG alla minima compressione (salvo convertirlo poi in quello TIFF una volta scaricate le immagini nel computer).

Il cannocchiale
Dando per scontato che la qualità delle immagini che otterremo dipende soprattutto dalla qualità ottica del cannocchiale, due parole vanno comunque spese sugli oculari.


Anzitutto va detto che nel digiscoping il miglior oculare, come rapporto qualità/ingrandimento, è quello 30X. La maggior parte dei birdwatchers, però, possiede lo zoom 20X-60X che, pur essendo qualitativamente di poco inferiore a quelli a focale fissa, è più utile e versatile di questi ultimi anche nel digiscoping.

Normalmente io utilizzo lo zoom dell’oculare a 20X e vario l’ingrandimento dell’immagine tramite lo zoom della fotocamera; a 20X, infatti, la qualità ottica dell’oculare del cannocchiale è massima, e con lo zoom a 3 o 4X della fotocamera riesco ad ottenere l’ingrandimento sufficiente per la maggior parte delle situazioni.

Se, poi, il soggetto che voglio riprendere è particolarmente lontano, aumento l’ingrandimento dell’oculare fino ad avere il risultato desiderato.

In casi particolari, persino con l’oculare a 60X e zoom della fotocamera a 4X riesco ad ottenere immagini ferme e apprezzabilmente nitide, anche se la qualità generale dell’immagine è, ovviamente, inferiore. Vedremo in seguito come ottenere questi risultati.

L’anello di raccordo
E’ questo uno strumento indispensabile secondo alcuni (me compreso), addirittura dannoso secondo altri. In effetti, il suo uso dipende principalmente dal tipo di fotografie che vogliamo ottenere: se il nostro scopo è quello di riprendere immagini che siano il più possibile simili a quelle su pellicola, allora l’anello di raccordo è indispensabile. Se, però, la velocità operativa viene prima di tutto, l’anello di raccordo può essere un ostacolo.

Esitono vari tipi di anelli di raccordo in commercio; la maggior parte di questi si avvitano all’obiettivo della fotocamera e poi si agganciano all’oculare del cannocchiale con vari sistemi di fissaggio. Quello che uso io si aggancia all’oculare per mezzo di 4 viti poste ai lati di un barilotto metallico dentro il quale si inserisce l’oculare stesso. E’ questo un sistema molto rapido e sicuro; in casi particolari, per avere ancora più velocità di operazione, si può anche fare a meno di stringere le viti, grazie al fatto che l’oculare viene inserito dentro al barilotto, ottenendo in questo mado già una sufficiente stabilità.

L’anello di raccordo diviene però, indispensabile, quando fotografiamo in luce scarsa o con forti ingrandimenti, situazioni queste in cui è richiesta la massima stabilità del sistema.
La tecnica
La focheggiatura
Come già detto in precedenza, possiamo mettere a fuoco il soggetto tramite l’autofocus o con la messa a fuoco fissa all’infinito (se disponibile nella fotocamera).

Nel primo caso è necessario dapprima mettere a fuoco il cannocchiale (tramite l’oculare) e solo dopo utilizzare l’autofocus della fotocamera osservando l’immagine sul monitor. Se si utilizza l’anello di raccordo, per evitare di collegare e scollegare ogni volta la fotocamera, la focheggiatura del cannocchiale può essere fatta direttamente anche tramite monitor senza guardare attraverso l’oculare: si ruoterà la ghiera di messa a fuoco fino a quando si raggiungererà la migliore nitidezza dell’immagine sul monitor, anche se l’immagine è sempre sfocata; solo dopo si azionerà l’autofocus della fotocamera, che renderà l’immagine nitida e a fuoco. Se il soggetto si sposta o cambiamo inquadratura, potremo fare degli aggiustamenti "fini" utilizzando sia la ghiera di messa a fuoco del cannocchiale che l’autofocus della fotocamera, finché non otterremo la corretta messa a fuoco.

Con la messa a fuoco fissa all’infinito si opera al contrario, cioè dapprima si inquadra il soggetto, poi si aziona la messa a fuoco fissa (tramite lieve pressione del pulsante di scatto) ed infine si focheggia con la ghiera del cannocchiale, il tutto osservando l’immagine sul monitor. In quest’ultimo caso, la corretta messa a fuoco non è mai assicurata, in quanto l’immagine sul monitor non è altrettanto nitida e definita come nel mirino di una reflex, e il rischio di immagini sfocate è tanto più alto quanto più lontano è il soggetto da fotografare.

Di solito io utilizzo sempre l’autofocus per soggetti molto lontani e piccoli anche sul monitor, in modo da essere abbastanza sicuro della corretta messa a fuoco, mentre per i soggetti più vicini adopero sia l’autofocus che la messa a fuoco fissa all’infinito. Quest’utlima è preferibile quando l’uccello si muove, poiché la focheggiatura "fine" avviene tramite la normale ghiera del cannocchiale, ed anche quando l’uccello si trova nel fogliame, poiché l’autofocus verrebbe ingannato dalla vegetazione in primo piano.

L’autoscatto
L’uso dell’autoscatto nel digiscoping non è molto diffuso e si limita solo a poche situazioni, poiché richiede un requisito minimo indispensabile, e cioè che il soggetto sia immobile o quasi; diventa invece necessario per fotografare ad alti ingrandimenti (ma sempre con soggetti immobili). Ovviamente, l’autoscatto può essere usato solo quando la fotocamera è collegata al cannocchiale tramite anello di raccordo ed il tutto è su cavalletto.

Poiché non vi sono parti meccaniche in movimento (cosa che invece accade con le tradizionali macchine fotografiche reflex, in cui c’è il movimento dell’otturatore), l’immagine che ne risulterà sarà assolutamente priva di mosso, sempreché non ci sia vento forte a muovere l’intero complesso cannocchiale-fotocamera.

L’autoscatto, in pratica, viene usato quando i tempi di scatto non sarebbero sufficienti ad ottenere immagini abbastanza ferme, quindi in condizioni di scarsa luce ambiente o nel caso di forti ingrandimenti.

Fotografare con scarsa luce
Oltre che utilizzare l’autoscatto ed il cavalletto, per fotografare in scarsa luce ambientale possiamo anche aumentare gli ISO a 200 o persino a 400 (in alcune fotocamere anche fino a 800). In questo modo possiamo riuscire ad avere tempi di esposizione sufficienti per evitare il mosso. Lo svantaggio, come già ricordato, è una più o meno marcata perdita di qualità dell’immagine, che si manifesta come "rumore di fondo" elettronico, simile alla grana della pellicola tradizionale. E’, quindi, ovvio che questa tecnica è più mirata ad ottenere immagini di uccelli rari o per ricerche ornitologiche, poiché la qualità complessiva delle immagini è piuttosto scarsa (almeno da 400 ISO in su).

Diverso è il caso in cui si usi l’autoscatto con soggetti fermi in scarsa luce ambiente: l’autoscatto digitale, infatti, permette la ripresa di immagini perfettamente ferme anche con tempi di posa lunghi, con risultato finale più che buono.

Fotografare ad elevati ingrandimenti
Questa tecnica, poiché porta ad una qualità non eccelsa delle immagini finali, è utile solo se vogliamo riprendere specie rare o per studi ornitologici (ad esempio, piccoli particolari quali gruppi di piume, lettura di anelli metallici ecc..).

Con l’oculare del cannocchiale a 60X e con lo zoom ottico della fotocamera digitale al massimo ingrandimento (3 o 4X, ad esempio), riusciamo ad ottenere dei fortissimi ingrandimenti; tuttavia, proprio a causa di questo elevato fattore di ingrandimento, l’immagine a monitor risulterà molto traballante, ed inoltre si avrà anche una forte caduta di luce, tale da dare tempi di posa impossibili per l’uso a mano libera. L’unico modo di fotografare, in queste condizioni, senza perdere quindi l’opportunità di riprendere quella data specie rara, è di usare l’anello di raccordo, il cavalletto e, ovviamente, l’autoscatto. E’ ovvio che il soggetto deve essere "collaborante", in quanto deve restare immobile almeno col corpo, poiché i tempi di scatto sono decisamente lunghi.

Si potrebbe anche aumentare il valore degli ISO per avere dei tempi di posa lievemente più brevi ma, con l’effetto mosso di quegli ingrandimenti, a mano libera senza autoscatto occorrerebbe almeno 1/500 o 1/1000 per ottenere immagini ferme, cosa del resto impossibile da ottenere anche con gli ISO impostati a 400 o 800 a causa della luce comunque scarsa che arriva ai sensori della fotocamera. Per di più, l’immagine finale, oltre che poco nitida per la presenza del micromosso e scura, sarà anche affetta dall’evidente rumore di fondo dell’elevato valore ISO.


Per riprendere un soggetto con questa tecnica, nel caso in cui l’autoscatto funzioni solo in autofocus, è necessario posizionare la testa dell’uccello al centro dell’area di rilevazione autofocus presente sul monitor, in modo tale che la fotocamera metta a fuoco correttamente l’animale (ricordiamoci che nelle foto di animali la testa deve essere sempre a fuoco, il corpo può anche non esserlo). Tuttavia, se la fotocamera dispone di una sola area centrale per il puntamento dell’autofocus, puntare quest’area sulla testa può portare a tagliare parte del corpo dell’uccello dall’inquadratura; in questo caso è necessario puntarla sul centro del corpo e sperare che la testa venga a fuoco. Con le fotocamere dotate di più aree di messa a fuoco, si può inquadrare il soggetto per intero e poi selezionare l’area di messa a fuoco che punta sulla testa o quella più vicina ad essa (ad es. sul collo o sul becco).

Se la fotocamera dispone di autoscatto che può funzionare anche con la messa a fuoco fissa all’infinito, si compone l’immagine, indipendentemente dai punti di messa a fuoco automatica, e poi si aziona l’autoscatto.

Ovviamente, nessuno ci vieta di usare l’autoscatto anche in situazioni più favorevoli, cioè con bassi ingrandimenti, luce solare presente (quindi tempi di posa già molto brevi anche per un uso a mano libera) e soggetti vicini ma sempre fermi, in modo tale da avere il massimo grado di nitidezza possibile dell’immagine. E’ questa una tecnica che io uso spessisimo, praticamente ogni volta che un soggetto è abbastanza fermo da potermi permettere di applicarla.

Fotografare dalla macchina


E’ questa una tecnica che io adopero molto spesso: infatti, essa permette di fotografare molte specie, anche non troppo vicine, che fuggirebbero subito via non appena provassimo a scendere dalla macchina.

Per fotografare dalla macchina è necessario, però, munirsi di un attacco per il cannocchiale da fissare allo sportello o al finestrino dell’auto, poiché non possiamo adoperare il cavalletto.

La migliore soluzione, a mio parere, è l’uso di un morsetto per finestrino con montata su una testa a sfera con piastra estraibile (prerogativa, quest’ultima, essenziale), in modo tale da agganciare e sganciare rapidamente il cannocchiale. In questo modo è persino possibile usare l’autoscatto con tempi di posa lunghi, con risultati più che apprezzabili.

Spesso io vado in giro in automobile, a lenta velocità e in strade poco trafficate ma ricche di uccelli, con il complesso cannocchiale/anello di raccordo/fotocamera montato fisso sulla testa a sfera, fermandomi per fotografare all’occorrenza, oppure tenendo il cannocchiale sul sedile dell’auto e agganciandolo subito alla testa a sfera quando devo fotografare qualcosa (operazione molto rapida). Se, poi, voglio solo osservare qualcosa, in due secondi sfilo via la fotocamera ed utilizzo il cannocchiale in maniera canonica.
    
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